sabato 13 novembre 2010

Un Paese diviso in due

La sinistra dice che Berlusconi ha diviso in due il Paese e che ha costruito lui gli Italiani come sono oggi…
Queste sono due delle falsità più evidenti che si vanno raccontando.
Dobbiamo considerare una cosa fondamentale, che l’Italia cosiddetta democratica nasce da una guerra civile in cui fratelli hanno ucciso fratelli e mai si è arrivati, come in nazioni ben più civili, ad una serena pacificazione nazionale, anzi si rifiuta tutt’ora ogni forma di pacificazione non riconoscendo normali diritti neppure ai morti: sempre Brenno ed il “Vae victis”.
Chi ci ha governato, per oltre sessant’anni, portandoci alla situazione attuale (non sarà certo colpa anche oggi di Mussolini…) ha sempre cercato nell’antifascismo un paracadute elettorale e di potere con cui giustificare scelte culturali politiche economiche e di sostegno alla malavita organizzata che, alla prova della storia, ci hanno condotto alla situazione attuale di degrado culturale morale ed economico negando, di fatto, un futuro ai nostri figli.
In questo paese distorto addirittura l’arte e la cultura, il senso sociale, la protezione dell’ambiente, la giustizia, tutto ciò che è bello e buono starebbero tutti da una parte, ovviamente quella di sinistra, mentre di tutti i mali sarebbe origine la destra, anche se non si sa quale destra visto che in questo Paese non è presente una destra vera.
Riguardo al “cervello” di tanta parte della popolazione, si lamenta che non comprende la cultura, che non ragiona, che fa tutto quello che gli dice la TV di Berlusconi (perché la tv di Santoro e di Fazio sarebbe libera oggettiva e meritoria…), che ha perso ogni criterio etico, che non ha alcun interesse se non per divertimento sesso e calcio, che vive l’oggi.
Torniamo un po’ indietro agli anni settanta.
Uscito dal Liceo mi iscrissi all’università a Venezia e trovai un ateneo monocolore rosso, dove si passavano gli esami citando il libretto di Mao, dove si pretendeva che gli studenti facessero gli esami di gruppo con il 27 garantito, dove non si potevano discutere i diktat e gli slogan comunisti pena botte, impossibilità di frequentare, ritorsioni di ogni genere, fino all’assassinio, “uccidere un fascista non è reato” era lo slogan indisturbatamente cantato da una parte di italiani; quanti dei nostri laureati, medici, insegnanti, funzionari, giudici sono stati allevati a questo latte …
Una scuola insomma che partendo dalla media unificata per arrivare all’università era stata pianificata a tavolino per costruire imbecilli, cervelli all’ammasso, opportunisti e soldati, non individualità oneste colte e raziocinanti; poiché è molto più facile governare un ammasso di teste irreggimentate sindacalizzate e pronte a cogliere ogni opportunità (oggi così viene chiamata qualsiasi scelta anche se impegna la dignità della persona), che far crescere teste pensanti e libere le quali potrebbero un domani chieder conto ai loro stessi maestri.
Tutti promossi dalla scuola ed i più bocciati dalla vita reale, tanto la selezione poi la subiranno solo i soliti più (di solito più volenterosi, più capaci, più ingenui); i figli di papà avranno comunque il posto in azienda regolarmente schierata a sinistra; i militanti di partito avranno anche loro un buon posto di lavoro nel cosiddetto sociale o nella politica, mestieri per soldi e non scelte di dovere; gli artisti ed intellettuali iscritti saranno supportati fino a formare l’attuale gotha del mondo dell’arte, della casta degli opinionisti, del tronfio giardino scientifico; poi ci si chiede perché le vere menti, i veri doni nell’arte, i veri intellettuali, i veri impegnati debbano così sacrificare quando non sono costretti ad abbandonare questo “povero” Paese?
Non mi si venga quindi a parlare di destra vera, che tra l’altro è sempre stata più di sinistra che tutte le sinistre che ci hanno governato! da noi non c’è.
Certo le televisioni di mediaset hanno sfruttato questo ammasso di bocche aperte pronte a bere ogni cosa, ma hanno fatto solo (forse con più efficacia visto che da operatori privati lavorano meglio di quelli pubblici…) quello che da anni già faceva una televisione di stato colonizzata da Sinistra e Dc, andando a togliendo una fetta della “carne” risultante dalla pubblicità; ecco una delle vere ragioni di tanto odio.
I governi berlusconiani, che certo non hanno brillato, sono comunque stati migliori di quanto abbia fatto la sinistra, in tanti anni di spesa fuori controllo e delle solite utopie irrealizzabili che da sempre la contraddistinguono insieme ad una visione limitata fatta di rancore e di supponenza.
L’uomo di destra sa riconoscere onestà e capacità alle persone di sinistra che mostrano tali qualità; l’uomo di sinistra invece ne è endemicamente incapace poiché riconosce solo in sé tutte le verità assolute.
Il momento è triste: il periodo berlusconiano prossimo al tramonto è stato in grado di realizzare solo parte di quanto promesso, più per le colpe dei suoi vassalli e di un’opposizione (radicata dai dipendenti comunali a quelli dei ministeri) che per quelle del feudatario; la sinistra quando governa fa danni e quando non governa promuove solo disfattismo e odio; e soprattutto non esiste più una gioventù motivata a cambiare il mondo, ma, a parte piccoli numeri, una massa giovanile senza alcun ideale desiderosa solo di soldi successo sesso, subito e senza sacrifici.
IL futuro? Se fate parte dei pochi che usano la propria testa per ragionare, indipendentemente dalla parte politica verso cui avete maggiore simpatia, e se non vi lasciate ingannare dalle vostre speranze, dovreste essere in grado di darvi una risposta, non scordando comunque il “divide et impera”; se fate parte di quelli che bevono quanto gli viene propinato, il mondo e la storia, comunque vi passeranno sopra…e forse sarete anche più felici… se la Vostra felicità sta nell’ignoranza.
E’ la solita scelta fin dai tempi del Vangelo di San Tommaso, solo che oggi non c’è Cristo in persona a dirci cosa fare con il Suo Esempio, mentre gli esempi che ci vengono confezionati servono per lo più a teleguidare le masse.
Per chi ha fede, come me, restano gli esempi di pochi onesti e generosi, la preghiera e la Speranza Cristiana.

venerdì 15 ottobre 2010

ordine e manifestrazioni

Manifestazione Fiom CGL: il Ministro Maroni annuncia che c’è il rischio di infiltrazioni di elementi turbolenti (centri sociali) che vadano a far disastri per la città.
Il Direttivo Fiom CGL risponde che la manifestazione si svolgerà pacificamente ma che spetta al Ministro mantenere l’ordine pubblico.
Al di là dei commenti possibili sia sulla dichiarazione del Ministro come sulla non risposta del dirigente FIOM CGL, al di là di questo avvenimento contingente, poiché situazioni di questo tipo nella storia italiana del dopoguerra sono troppo spesso degenerate senza che nessuno fosse in grado di difendere cittadini e/o proprietà, immaginando per un momento ipotetici scenari ci si potrebbe chiedere:
- se veramente, come nel caso portato ad esempio, esista ancora oggi un rischio di infiltrazioni di elementi provocatori allo scopo di creare disordini e scontri, con atti vandalici contro la proprietà privata e atti intimidatori o peggio verso liberi cittadini, e quale sia il “peso” del rischio;
- se il rischio fosse davvero concreto e pesante, come si potrebbe evincere dalle dichiarazioni pubbliche e da come certe estremizzazioni politiche abbiano aizzato allo scontro di piazza, come mai, date le attuali tecnologie usate per far cassa con i semafori, non si pensa di videosorvegliare il percorso delle manifestazioni a rischio, in tempo reale, per registrare fin dall’inizio l’insorgere di disordini e chi li provoca, mentre gruppi preparati protetti e consistenti di forze governative vengono preventivamente scaglionati lungo il percorso, in modo da permettere ad una comune regia e comando di farli intervenire velocemente per prevenire rapidamente o limitare almeno i danni? Rimarrebbero le registrazioni anche di eventuali scontri come mezzo di prova utili anche per incominciare a vietare quei cortei per cui gli stessi organizzatori non riescono a dare garanzie di sicurezza (credo sia ora che tutti si assumano le proprie responsabilità).
- nel caso di scontro con degenerazione violenta tra gruppi di facinorosi e forze governative per la difesa della legittimità, una volta registrate le violenze di facinorosi avverso ai tentativi corretti ma fermi delle forze governative di ripristinare la legalità ed impedire le degenerazioni violente, intimidatorie e vandaliche, è oggi possibile ordinare a forze governative ben addestrate una risposta ferma di difesa dell’ordine pubblico anche se di repressione efficiente non cruenta di gruppi di facinorosi?
Se la risposta all’ultima domanda dovesse essere “no” (io sono ignorante in materia e mi piacerebbe saperne di più) risulterebbe evidente che uno stato siffatto non saprebbe reagire con forza adeguata contro la mafia, contro la delinquenza organizzata, contro i poteri economici forti, contro la violenza negli stadi e neppure contro gruppi assoldati o itineranti di provocatori politici o di semplici facinorosi violenti sempre pronti a provocare risse e disordini, e quindi non potrebbe garantire legittimità, ordine, moralità e difesa del lavoro e della vita ai cittadini contribuenti e rispettosi.
Qualcuno obietterà che uno stato forte che usa la repressione diventa uno stato dittatoriale che nega la libertà di espressione dei cittadini: i tempi di queste frasi sono oramai passati per fortuna, anche se qualche nostalgico li vorrebbe ancora far ritornare, ed é facile rispondere che uno stato diventa dittatoriale e violento quando reprime cittadini onesti e rispettosi delle leggi non quando per difendere i cittadini onesti e rispettosi pulisce le strade da potenti arroganti, briganti più o meno organizzati, facinorosi e violenti, ideologi e mercenari del terrorismo e del disordine, la cui cosiddetta libertà di espressione non può ledere ogni principio di libertà dei cittadini rispettosi che chiedono almeno ordine e sicurezza.
La storia anche ci insegna come in ogni civiltà, con lo scomparire del senso della responsabilità della moralità dell’efficienza e della fermezza, preponderino l’arroganza del potere e l’accanimento burocratico verso reati minori di tipo amministrativo od economico, con punizioni scandalose penali e pecuniarie dei cittadini inermi che faticano, lavorano, pagano le tasse e certo non sono usi ad andare in piazza a prendere a botte il prossimo, a spaccar vetrine né ad incendiare auto.

giovedì 14 ottobre 2010

l'assalto alla diligenza

Crisi economica incalzante, insicurezza del posto di lavoro in età matura, incertezza del pensionamento, posti di lavoro per i giovani a tempo determinato quando va molto bene, questo il bel paese.
Il primo ladro servo dei potenti? Se pensiamo ai co.co.co indegnamente sfruttati mentre il privato doveva assumere regolarmente; se pensiamo a versamenti contributivi all’italiana; se pensiamo a chi gode di pensioni di tutto rilievo dopo una sola legislatura mentre certi artigiani ed operai non raggiungono neppure un reale minimo vitale; se pensiamo alla tassazione su terreni edificabili che va ad aggiungersi ad esosi oneri di costruzione e di fabbricazione, costi di ufficio, perequazioni ecc. specie se valutati in relazione a tempistiche e modalità borboniche ed ai vari certificati in bollo; se pensiamo ai livelli di tassazione ed ai servizi resi, all’inettitudine, arroganza e fannullonaggine di troppi dipendenti pubblici; se pensiamo alle multe per eccessi di velocità minimali e per divieto di sosta, allo scandalo dei semafori truccati, tutto per fare cassa senza minimamente preoccuparsi di chi quel mese, dopo aver pagato affitto, mutuo, retta dell’asilo e libri di scuola dei figli potrà solo piangere; se pensiamo al numero di dipendenti pubblici dei comuni (a vittorio veneto ca. 280 in Carinzia in cittadine equipollenti ca 40), di province, regioni e stato, ai ricavi faraonici di chi si occupa direttamente ed indirettamente di politica, agli stipendi principeschi seppur lordi di dirigenti comunali e soprattutto dei segretari comunali, scandalosi se rapportati alle reali responsabilità, al tempo, all’impegno ed al Know how ed ai rischi di qualunque lavoro o professione in proprio; se pensiamo alle malattie gravi, alle degenze sempre più ristrette in ospedale, ai farmaci salvavita sempre più lesinati, ad altri farmaci non salvavita ma di fatto assolutamente necessari contro dolori e patrologie correlate che invece vanno pagati anche da chi non potrebbe…; se pensiamo a tutti i truffatori che si aggirano e fregano a destra ed a manca “giustamente convinti di essere impuniti”, ed a una magistratura che non se ne fa una questione di coscienza o di dovere, ma che si basa mansionari sindacati, agisce con pedissequo ossequio di norme patentemente incongrue o non agisce per l’assurdo annullarsi di norme contrastanti, e cerca l’appartenenza partitica; se pensi che devi pagare le tasse ed addirittura gli anticipi anche su crediti non percepiti e su affitti non percepiti; se pensiamo alle città impraticabili alle persone per bene con il buio, alle donne stuprate, ai bambini violentati, ai pedofili, alla droga che scorre a fiumi, ai vecchi pestati e derubati, e tutto ciò mentre chi dovrebbe vigilare e proteggerci se ne frega, o fa finta di non vedere o si appella al mansionario o da la colpa alle economie di mezzi e personale dei politici… senza pensare a quanto riescono a fare nel privato passione e senso del dovere; se pensiamo ai funzionari della FAO per i quali è addirittura prevista l’esenzione da ogni forma di imposta diretta sui salari, emolumenti ed indennità, e chissà quante altre categorie che non conosciamo; VERGOGNA; se pensiamo a tutti i falsi cechi, i falsi sordomuti senza vergogna; se pensiamo ai pensionamenti di lusso di quanti già hanno percepito stipendi di lusso durante la loro breve e certo non intensa vita di fannullonaggine, ops di …lavoro, mentre chiediamo ulteriori sacrifici a gente che ha già duramente lavorato per oltre 30 anni; se pensiamo ai locali di ritrovo per i vari degenerati e pervertiti, giovani e vecchi ma sempre danarosi, mentre si vanno a colpire con le solite multe (la solita cassa…) i clienti poveri delle prostitute stradali cioè la bassa manovalanza; se pensiamo ai condoni fiscali per stupidaggini amministrative pagati da chi ha paura di multe che gli distruggerebbero il non ricco lavoro di un anno dopo tutti i pensieri per procurarselo e farselo pagare, mentre restano impuniti i proprietari di panfili ed elicotteri e di conti paperonici all’estero quando non gli chiediamo per piacere di riportare i soldi a casa dietro la rassicurazione di alcuna sanzione …!!!. Se pensiamo a medici che chiedono centinaia di euro per una visita di pochi minuti a malati gravi, che poi si passano i pazienti dietro salde provvigioni, che passano provvigioni o altri benefit a personale paramedico per ritardare i tempi delle visite in ospedale in modo da procacciarsi clienti per le sedi in cui operano privatamente ad altri prezzi, fino a farli morire di spolpamento; se pensiamo ai tanti bimbi che aspettano di essere adottati ma che, anche a causa delle difficoltà burocratiche e degli interessi di chi li gestisce, non vengono mai adottati e la gente, stupida e prima di tutto ignorante, preferisce trapianti di ovulo illegali, eterologhi, ad un bimbo (eterologo) in cerca di affetto;se pensiamo ai malati gravissimi che non godono di accompagnatoria i cui parenti sono spesso costretti a svendere la casa pur di trovare i soldi per accompagnarli il più serenamente possibile verso la morte; se pensiamo ai troppi carcerati, per lo più per reati di opinione o di poco conto, o di altra nazionalità ed al numero enorme di farabutti a piede libero, con licenza di truffare quando anche non di uccidere; se pensiamo alla sporcizia politica che porta per strada la gente per difendere solo egoismi di parte, che difende posti di lavoro inutili creati solo per il ritorno dei voti secondo un sistema non più sostenibile per la comunità.
Quindi come pensiamo possa essere il nostro vicino se questo è l’esempio?
L’unico insegnamento che questo paese sa dare a i suoi figli è quello dell’assalto alla diligenza, per mangiare ancora quello che resta, l’arraffa arraffa di branchi di cavallette di vario ordine e casta.
Solo con l’esempio dall’alto, solo con il senso del dovere, solo con l’onesto impegno, solo con la misura e ed il mutuo scambio di aiuto, con la solidarietà (che non è continuare a mantenere i voglia di far niente), solo senza faziosità e partigianità politica, solo con la giustizia in ogni senso si può cercare la salvezza per il nostro futuro; ma c’è ancora qualcuno capace di intendere ciò e, soprattutto, così idealista e santo da impegnarsi per cercare di invertire la rotta?
La valanga da tempo scende, l’ignavia e la pigrizia e l’egoismo imperanti non hanno fatto nulla per bloccarla, e sarà sempre più difficile anche solo rallentarla.
A quei figli che vediamo per le strade perennemente rimbecilliti dai giochini elettronici, dalla musica, dalle droghe, dalle perversioni sessuali ma soprattutto dalla mancanza di qualsiasi principio ed esempio morale e privati delle aspirazioni ad un futuro, fisicamente e mentalmente per lo più imperfetti, psicologicamente deboli, egocentrici, incapaci di capire ed ascoltare qualsiasi disposizione, privi di qualunque senso morale e persino del senso di autoconservazione, insicuri al primo no, a loro toccherà la mano… Se siete ottimisti, invece di pensare a quando la caduta del moderno impero plutocratico, potete anche chiedervi – Come se la caveranno?

mercoledì 8 settembre 2010

Traforo di Santa Augusta

In merito al traforo in tempi non sospetti ebbi già ad intervenire affermando un mio parere che in breve ripropongo. L’uscita del traforo é posizionata un po’ troppo in quota; ciò comporta una lunga discesa fino all’immensa rotatoria prevista nella zona dei laghetti con troppi inconvenienti: primo, l’immensa rotonda non è proporzionata al nostro contesto storico territoriale, e va a distruggere un magnifico sito storico e naturalistico (già compreso nel SIC ma,è vero, già in parte rovinato da costruzioni ed opere degli anni 60/70) caratterizzato da risorgive, con flora e fauna peculiari, collegate al fiume Meschio e da antiche vie d’acqua ancora perfettamente individuabili che invece dovrebbero essere restaurate e fatte conoscere; secondo, la rotatoria in questione non si pone di fronte all’incrocio di Porta Cadore con la viabilità da e per la vallata andando così a decongestionare il traffico ricevendo direttamente il flusso che proviene dalla vallata e da nord. Secondo me la rotatoria, di dimensioni più adeguate al contesto,dovrebbe infatti essere posizionata di fronte all’incrocio di Porta Cadore sfruttando anche spazi esistenti e permettendo un’uscita del traforo a quota inferiore con collegamenti più efficienti ed assai meno impattanti.
Comunque il progetto è da tempo già stato fatto e non ritengo sia giusto a questo punto fermare l’iter avanzato di un’opera necessaria (anche solo per limitare l’inquinamento di Serravalle) che da ca. 70 anni la Città attende, proponendo alternative fantasiose, incongrue e forse anche più dannose per la Città, solo per scontro politico!
Un’alternativa sarebbe quella (comunque peggiorativa rispetto allo spostamento completo dell’uscita e della rotatoria) di spostare solo la rotatoria presso Porta Cadore, mantenere fissa l’uscita della galleria del traforo con solo una immissione più rispettosa dell’ambiente e più congrua alla viabilità esistente.
Spero comunque che l’Amministrazione Cittadina riesca a cantierare in tempi umani quest’opera tanto importante quanto necessaria che segnerà profondamente il territorio cittadino assistita dal senso di responsabilità dei politici di ogni colore e spero che possa e voglia riflettere più a fondo su un’opera che dovrà assolvere il suo compito con efficienza nordica e non così così, all’italiana. La progettazione, anche la più appassionata e competente, non può mai considerare tutto (ed ahimè ciò lo si riscontra con troppa frequenza in lavori pubblici studiati e realizzati frettolosamente o con importi inadeguati alla durabilità nel tempo); si rifletta ancora quindi sul posizionamento della rotatoria, che può tranquillamente essere cambiato in corso d’opera, per salvare una zona storico-naturalistica della città e contemporaneamente rendere altamente più efficiente il punto di convogliamento dei flussi del traffico risparmiando anche territorio.

giovedì 24 giugno 2010

Leggo e diffondo - Articolo di Giancarlo Giannini

IL VIAGGIO DI KARSKY E LA TERRA PROMESSA

Di Filippo Giannini

Prima di iniziare faccio mie le parole dell’amico Francesco d’Auria: - Non sono affatto antisemita, la “ razza ariana” mi fa venir da ridere; nei milioni di anni di esistenza dell’uomo gli incroci si sono moltiplicati tanto che sarebbe davvero interessante risalire, con studi sul DNA, alle origini di ciascuno di noi. Chissà se il futuro potrà darci questa informazione -.

Chi scrive queste note ha grande ammirazione e rispetto per l’intelligenza umana, e dobbiamo riconoscere che, nel così detto popolo ebraico, questo fenomeno è rilevante.

Per provare a capire quel che sta accadendo in quelle aree chiamate Medio Oriente, apro il mio ultimo libro e riprendo uno stralcio dal Capitolo XII e lascio la patata bollente al lettore.

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Già nel Capitolo VI abbiamo accennato a vessazioni e atti d’ostilità a danno degli ebrei, compiuti dagli “Alleati”; quindi, se è vero che è condannabile colui che commette un atto ignobile, altrettanto lo sono coloro che, pur essendo in condizione di evitarlo, si sottraggono al dovere di impedirlo.

Se era noto che il così detto”olocausto ebraico” era in atto, chi sapeva? E se si sapeva, chi sapeva?

Yan Karsky era un giovane ingegnere polacco, ebreo. Fuggì da un “campo di sterminio” dove era stato rinchiuso nel 1941-42. I capi degli ebrei polacchi gli affidarono un plico di documenti che attestavano le fasi dell’”operazione finale”. Lo scopo era di consegnare tale documentazione a tutti quegli “uomini di buona volontà” ai quali si chiedeva aiuto, quindi ai Governi Alleati. Karsky, partendo da Varsavia, intraprese un viaggio veramente temerario: attraversò l’Europa centrale (passò anche in Italia) e giunse in Gran Bretagna.

Il 21 giugno 1989 la Radiotelevisione italiana trasmise un’intervista rilasciata da Karsky e mandata in onda dal programma “Mixer” del giornalista Giovanni Minoli. La testimonianza di Karsky è una pesante accusa contro la noncuranza manifestata dai Governi anglo-russo-americano per le sofferenze di tanti infelici.

Karsky arrivò a Londra nel novembre 1942. I primi ad esaminare i documenti furono gli esponenti del Governo polacco in esilio a Londra, poi i messaggi furono presentati a funzionari inglesi e americani. Anthony Eden, Ministro degli Esteri inglese, incontrò Karsky subito dopo. Egli ha osservato: - Giunsi alla conclusione che ai più alti livelli, cioè da parte di Churchill, di Roosevelt e di Stalin, coralmente si asseriva che la strategia globale di questa guerra era la sconfitta militare della Germania, nessun altro problema secondario doveva interferire -. Karsky, di conseguenza, osservò: - La questione, dunque, stava in questi termini: la tragedia degli ebrei, così dolorosa e imbarazzante, per loro era “un problema secondario”-.

-”Secondario” o no - considerò Minoli - i capi Alleati sapevano e lo dimostrano i documenti che ho qui in mano e che siamo riusciti a trovare negli Archivi segreti britannici e sono la prova che Karsky incontrò Eden nel febbraio del ’43 e sapeva tutto e che ad una domanda precisa rispose: “Grazie, la relazione Karsky ci è stata già recapitata” e troncò la conversazione. Ma anche Roosevelt sapeva tutto e sapevano tutti i membri del Governo americano -.

Karsky fu invitato alla Casa Bianca il 28 luglio 1943. Trascorse circa un’ora e venti minuti col Presidente americano. Roosevelt fu molto gentile, a detta di Karsky si informò sugli ebrei, chiese cosa aveva visto e se poteva fornire delle statistiche; - si limitò a dire che quando sarei tornato in Polonia avrei dovuto riferire ai miei capi che i confini della Polonia nell’est sarebbero cambiati, la Polonia sarebbe stata ricompensata con i territori tedeschi. Mi disse pure che a guerra finita i colpevoli sarebbero stati puniti - (1).

Karsky incontrò anche i leaders ebrei americani, come il Presidente del Congresso Mondiale Ebraico Americano e i Giudici della Corte Suprema Americana, fra i quali il potente Felix Frankfurter; era presente l’ambasciatore polacco in Usa. Karsky parlò con tutti e a tutti espose quanto aveva visto e a tutti presentò le richieste dei capi ebrei polacchi, fra queste, per urgenza si chiedeva agli Alleati di bombardare le ferrovie che conducevano ai lager; ciò sia per rendere meno agevole il trasporto dei deportati, sia per far comprendere ai tedeschi che al di fuori della Germania “si sapeva” e che “sapendo” sussisteva la minaccia della ritorsione.

A queste richieste rispose Frankfurter; questi disse a Karsky che doveva essere assolutamente franco, e aggiunse - che non posso assolutamente crederle -. A queste parole l’ambasciatore polacco fece osservare che Karsky aveva la piena autorità conferita dal Governo polacco. La risposta di Frankfurter fu estremamente subdola: - Signor ambasciatore, non ho detto che questo giovane stia mentendo, ho detto che “non sono in grado di credere a ciò che ha detto” -. È un’affermazione che apre sospetti non ancora dai contorni chiari. Infatti, anche lo storico israeliano Shebtai Tevet ha affermato: - La Comunità Ebraica sapeva sin dall’estate 1942 e non intervenne -. I motivi del mancato intervento, forse vanno ricercati nell’insufficiente potere di cui disponeva. E si pone, allora, l’ipotesi sostenuta con un saggio di John Kleeves riportato su “Italicum” del marzo 2004. Kleeves sostiene, con una serie di argomentazioni, che la “potente lobby ebraica” non è poi così “potente”: - Gli ebrei non hanno influenzato la genesi della realtà statunitense, non hanno contribuito a costruirla, a renderla quella che è. Gli Usa sono come sono indipendentemente dagli ebrei. Questo, nel bene e nel male, è un dato di fatto, dimostrato storicamente. Chi sostiene il contrario, anche se sono molti, riferisce un evento che non è mai capitato, mai esistito, totalmente inventato -. Secondo l’Autore, chi detiene veramente il potere negli Usa è un gruppo dominante fondato dai Puritani, i cosiddetti WASP (“White Anglo-Saxon Protestants”). Per maggior precisione - tutto ciò che gli Usa fanno per gli ebrei e Israele lo fanno perchè fa comodo anche a loro stessi, e non perchè sono plagiati dagli ebrei. Questo semmai, lo fanno credere -. Negli Usa una “lobby ebraica” esiste (lo si vuole che esista), ma la potenza è apparente ed ottiene solo le cose che già si erano decise. - Il potere Usa è sempre stato monopolio WASP (…). La “potente lobby ebraica” è, invece, puro “american interest” -. In altre parole la “lobby ebraica” sarebbe un riparo dietro il quale scaricare le azioni poco ortodosse degli Usa, cioè dei WASP.

Questa potrebbe essere una chiave di lettura per comprendere gli ostacoli incontrati da Karsky.

Altra chiave di lettura potrebbe essere ricercata nell’interpretazione del problema ebraico esistente fra i sionisti e gli assimilazionisti. I primi, sostiene Mauro Manno (http://civiumlibertas.blogspot.com): - Tutti i dirigenti sionisti, tutti i movimenti sionisti, laburisti e non, collaborarono con il nazismo a danno degli ebrei assimilazionisti -.

Come vedremo poco più avanti (e come abbiamo visto nei capitoli precedenti), ampi settori di organizzazioni ebraiche e molti Governi dei Paesi occidentali, poco si preoccuparono della sorte degli ebrei. A dar forza a questa tesi è sufficiente riportare uno stralcio di quanto ha scritto Lenni Brenner (“Zionism in the Age of the Dictators”, Cap. XXIV): - Finanche nel 1943, mentre gli ebrei d’Europa venivano sterminati a milioni, il Congresso americano propose di istituire una comissione per studiare il problema. Il rabbino Stephen Wise, che era il principale portavoce sionista in America, si recò a Washington per testimoniare contro il progetto di legge perché esso avrebbe sviato l’attenzione (degli ebrei) dalla colonizzazione della Palestina. Si tratta dello stesso rabbino Wise che, nel 1938, in quanto dirigente del Congresso ebraico d’America, scrisse una lettera nella quale si opponeva a qualsiasi cambiamento della legislazione americana sull’immigrazione, cambiamento che avrebbe permesso agli ebrei di trovare accoglienza. In questa lettera scriveva: “Può essere d’interesse per voi sapere che alcune settimane fa i dirigenti delle più importanti organizzazioni ebraiche si sono riuniti in una conferenza (…). Vi si è deciso che, in questo momento, nessuna organizzazione ebraica avrebbe sponsorizzato una legge destinata a cambiare in qualsiasi modo la legislazione sull’immigrazione”- . A commento di ciò, Mauro Manno ha osservato: - La legislazione che doveva essere cambiata (nel 1943) era quella che restringeva enormemente l’immigrazione, compresa quella ebraica, negli Stati Uniti -. Manno conclude: - Cari ebrei o diventate sionisti ed emigrate in Palestina o alla morte! -.

Allora, che cosa potevano fare gli ebrei per fermare l’”Olocausto”? In particolare, cosa poteva fare Ben Gurion, il padre fondatore d’Israele? Risponde la storica ebrea Idith Tzertal: - Il salvataggio di 100 o 1000 ebrei era “soltanto un’operazione marginale” per Ben Gurion. Egli era per operazioni in grande scala, di conseguenza aveva escluso piccole operazioni di salvataggio. Ben Gurion non aveva mai dato un gran peso al problema del salvataggio degli ebrei; considerava, invece, più importante la fondazione dello Stato ebraico, perchè in questo vedeva una soluzione futura alla questione ebraica e, quindi, anche allo sterminio di massa -.

Tutto ciò può dare adito al sospetto che l’immolazione di centinaia di migliaia di ebrei sia stata – anche se dolorosa – una operazione calcolata in base alla “Ragion di Stato”.

A voi, amici lettori, le deduzioni.

Leggo e Diffondo - Articolo di Filippo Giannini

LE PATACCHE E IL LORO CONTRARIO

Chi era Mussolini? Cosa è stato il Fascismo?

Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspetti (Eraclito)

Benito Mussolini è stato, come alcuni storici sostengono, condannato dalla storia e senza appello?

Francesco Saverio Nitti, nella seduta del 27 luglio 1947, all’Assemblea Costituente, disse: Ho letto troppo spesso anche nei nostri giornali, e leggo ancora giudizi, che mi sembrano non solo falsi, ma anche inabili, che fanno cadere sull’Italia la responsabilità della guerra mondiale, dicendo che è dovuta al fascismo. Non sono convinto che noi abbiamo seguito la buona via e nemmeno la vera, quando nella lotta contro il fascismo abbiamo detto e diciamo, come ora, che la guerra è una conseguenza del fascismo, e che il fascismo è stato soltanto fenomeno italiano. Vi sono state cause ben più profonde. Per nuocere al fascismo, noi abbiamo fatto cosa pessima a danno dell’Italia. La cosa più semplice per tutti coloro che odiarono il fascismo e per i pochissimi che ne avevano subito le persecuzioni era di insultare il fascismo e di attribuirgli colpe che non aveva.

…il fascismo si impose attraverso l’uso sistematico della violenza (Paul Corner).

Il fascismo fu sugli inizi un impeto di reazione all’internazionalismo comunista che negava la libertà della Nazione (…). Noi non condividiamo il parere di coloro i quali intendono condannare ogni azione fascista sotto la generica condanna della violenza. Ci sono delle situazioni in cui la violenza, anche se assume l’apparenza di aggressione, è in realtà una violenza difensiva, cioè legittima (Alcide De Gasperi).

Antonio Gramsci al III Congresso dell’Internazionale Comunista a Mosca, svoltosi tra il 22 giugno e il 12 luglio 1921, aveva auspicato che anche in Italia si realizzasse una rivoluzione bolscevica sull’esempio di quella russa.

Tutti gli scritti di Mussolini dedicati alla questione russa andrebbero oggi riletti. Ci si accorgerebbe che tutto quello che abbiamo saputo dopo, ben poco in realtà siamo venuti a conoscere di cui egli non si fosse già allora perfettamente reso conto. In questo senso si può dire che, dal 1923 Phillips (giornalista americano, nda) cogliesse veramente nel segno individuando una costante della dinamica mussoliniana – vide a nudo il comunismo e ne fu atterrito (Gaetano Salvemini).

La lotta di classe assume in qualche caso l’aspetto di guerra civile, prima ancora che lo squadrismo entri in scena: dall’aprile 1919 all’aprile 1920 si registrano 45 morti e 444 feriti durante gli scioperi e le manifestazioni di strada (Max Gallo).

L’olio di ricino era una delle armi preferite dai fascisti; i casi recidivi venivano trattati col manganello e – come ultima risorsa – con le pallottole. (Antonio Spinosa).

Il fascismo ha avuto molti aderenti, dopo la fine della prima Guerra mondiale, fra noi ufficiali perché si viveva in un clima di puro terrore. Si subiva pestaggi, bastonature. Numerosi furono assassinati per il solo fatto di portare le stellete (Ardito Desio).

Anche se non si può provare un ordine diretto di uccisione (di Giacomo Matteotti, nda) la responsabilità morale di Mussolini è piena, manifesta (Antonio Spinosa).

No, il duce non aveva alcun interesse a far uccidere mio padre, si sarebbe alienato per sempre la possibilità di un’alleanza con i suoi vecchi compagni, che non finì mai di rimpiangere (Matteo Matteotti).

Fu lui, Mussolini, che volle mettere sullo stesso piano il nazismo e il fascismo (Mario Cervi).

Nei rapporti con le Grandi Potenze il fascismo si presenta come un regime pacifico, un regime che, quando Hitler va al potere non sente le sirene del Führer, anzi gli si oppone (…). Leggendo i libri scritti da fascisti, guardando la pubblicistica fascista, i giornali fascisti, ciò che colpisce è l’ottimismo vitalistico che c’è dentro, un ottimismo vitalistico che è la gioia, la giovinezza, la vita. Nel nazismo questo non c’è. Semmai c’è l’idea di tradizione, l’idea di razza (…). Un ottimismo esiste anche nel nazismo, ma non è vitalista come quello fascista: è piuttosto un ottimismo tragico (Renzo De Felice).

Fra fascismo italiano e nazismo tedesco ci sono semmai più punti di divergenza che di somiglianza (Michael Ledeen).

Il primo equivoco su Mussolini fu di credere che fosse socialista (…). Lui crebbe nell’avversione ai padroni, all’ordine costituito, al sistema; e siccome gli pareva che questi ideali di rivolta fossero alla base del socialismo, si iscrisse al partito, nell’ala mpiù estremista (…). Che sia stato crudele , contrariamente a quanto possano pensare coloro che lo confrontano con altri dittatori moderni, non v’è dubbio (Silvio Bertoldi).

Mussolini è il più grande uomo da me conosciuto e senz’altro fra i più profondamente buoni; al riguardo ho troppe prove per dimostrarlo (Papa Pio XII).

Secondo quanto scrive Francesco Malgari questa era l’opinione di Luigi Sturzo, il padre della Democrazia Cristiana: Sturzo non indaga sulle cause che determinarono scelte economiche del fascismo, non giudica neanche i risultati, nel bene e nel male. Vi individua soprattutto un processo degenerativo, i cui effetti venivano a nuocere sulla mentalità e sul costume degli italiani: il fascismo, teorizzando il ruolo della mano pubblica nella vita economica, aumentava il parassitismo e la corruzione, creava un’aria greve e soffocante.

Per vari aspetti Mussolini era affascinante. Per anni tutti gli stranieri di rilievo che vennero a Roma non avevano altro interesse che avvicinare l’uomo che, in condizioni estremamente difficili, dopo parecchi anni di anarchia e di caos era riuscito a rimettere ordine e ritmo all’intera vita dell’Italia moderna (…). Perché nel fondo l’animava un vero impulso di umanità. Sdegnoso di ogni ricchezza è sempre vissuto modestamente. Durante la vita conservò una viva simpatia per gli umili, per i contadini e per i lavoratori (…). Coloro i quali vogliono ad ogni costo raffigurarlo come un essere intrattabile, rude come il granito si ingannano completamente. Il potere non lo logorò per niente (…). Non possiamo enumerare i suoi atti di bontà (…). Il bilancio del Fascismo? Ha nome: strade, autostrade, ferrovie, canali di irrigazione, centrali elettriche, scuole, stadi, sports, aeroporti, porti, igiene sociale, ospedali, sanatori, bonifiche, industrie, commercio, espansione economica, lotta contro la malaria, battaglia del grano, Littoria, Sabaudia, Pontinia, Guidonia, Carta del Lavoro, collaborazione di classe, Corporazioni, Dopolavoro, Opera Maternità e Infanzia, Carta della Scuola, Enciclopedia, Accademia, Codici mussoliniani, Patti Lateranensi, Conciliazione, pacificazione della Libia, marina mercantile, marina da guerra, aeronautica, conquista dell’Abissinia. Tutto ciò che ha fatto il Fascismo è consegnato alla storia. Ma se c’è un nome che, in tutto questo dramma, resterà puro e immacolato, sarà quello di Mussolini (Paul Gentizon, giornalista svizzero).

Fascismo, male assoluto (Gianfranco Fini).

Il rapido progresso dell’Italia dopo la 2a guerra mondiale e il fatto che oggi è già in marcia verso uno sviluppo intensivo, sarebbe impensabile senza i processi sociali iniziati durante il periodo fascista (Mihalay Vajda).

Mussolini faceva parte della macchina della soluzione finale (Riccardo Pacifici).

Il principale alleato della Germania, l’Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (…). Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio “discriminare non perseguire”. Tuttavia l’esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (…). Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini, quando i tedeschi occuparono l’Italia (George L. Mosse, dell’Università ebraica).

P.S. Come il lettore avrà modo di notare abbiamo citato solo personalità antifasciste o, comunque, non fasciste

mercoledì 9 giugno 2010

Fusione ATM La Marca

La fusione di 4 importanti aziende di TPL, tra cui ATM, potrebbe portare ad una più efficace razionalizzazione delle corse sul territorio ed a risparmi in campo organizzativo amministrativo, ma certo una bozza progettuale realistica delle corse sul territorio e del dettaglio dei risparmi che si ritiene di effettuare e come, certamente migliorerebbe il dialogo e aiuterebbe l’accettazione del progetto. Chiuderebbe anche la bocca a chi parla solo per antitesi politica, a chi desidera mantenere una sedia nei consigli di amministrazione, alla solita pletora di coloro che non vogliono mai modifiche dello status quo ed ai tanti soliti burocrati frenanti. Tranquillizzerebbe cittadini ed operatori.
I cittadini di Vittorio Veneto si interrogano su questa fusione perché non hanno la certezza che, alla resa dei conti, l’operazione si risolva per Vittorio Veneto in un peggioramento del servizio per studenti ed anziani e contemporaneamente nella ulteriore perdita di uno degli ultimi Enti Importante che resistevano con caparbietà, coraggio ed efficienza; la Città di Vittorio Veneto rappresenta un grande risultato politico ed un fiore all’occhiello: non sarebbe giustificabile la sola perdita di ATM, ulteriore colpo in aggiunta alla serie di enti e funzioni che già ci sono state sottratte, questa volta anche in barba ad un Governo cittadino del medesimo segno di quello provinciale.
Considerando che l’azienda esplica un buon servizio pubblico, ha il bilancio in ottimo attivo, è proprietaria di immobili dal valore considerevole, è quindi fondamentale garanzia per i destini del trasporto pubblico Vittoriese che, anche in virtù della modesta, ma assai ben più sana situazione economica, patrimoniale ed organizzativa di ATM rispetto a tante altre ditte di TPL, l’eventuale fusione non riduca gli utili di ATM (e quindi della Città di Vittorio Veneto) e che l’ATM sia dunque fortemente rappresentata e garantita, nel nuovo CDA dell’azienda Unica, sulla base di vari parametri (affidabilità, bilancio e patrimonio, importanza strategica) e non solo dei km. percorsi e dei mezzi.
Si provi dunque ad esporre una concreta bozza progettuale di fusione che esprima anche la rappresentatività delle 4 aziende nel nuovo Unico CDA: non c’è nulla da nascondere e forse è meglio litigare subito che trascinare una lunga e dolorosa contesa; non c’è più posto nel dibattito pubblico per interessi economici di parte, per posizioni personalistiche, per profit politici, per ricatti o richieste unilaterali, né per forzature e blocchi posti dalle aziende più grosse e tiri alla fune dei politici e dei burocrati. Proviamo a fare in modo che questa fusione non divenga solo un mezzo per fagocitare fette di mercato, ma davvero crei un’azienda nuova in cui tutti e 4 gli attori ci guadagnino e ci perdano in egual misura: a guadagnarci saranno la qualità del servizio e le tasche dei cittadini e la credibilità della politica.

Meritocrazia negata

I magistrati scioperano per lo stipendio; gli oncologi scioperano per la riduzione , secondo loro, delle cure mediche.
Due delle categorie che sono sempre pronte a schierarsi contro il governo, quando non è di sinistra.
Nessun paese è mal preso come l’Italia per quanto riguarda l’amministrazione e la certezza del Diritto; vengono liberate anche persone che non hanno più volte esitato a delinquere in modo gravissimo.
Nel campo medico il governo smentisce fortemente riduzioni delle cure mediche nelle patologie gravi, ma rappresentanti del corpo medico scioperano comunque.
Sempre più numerosi gli scandali di malasanità, di inefficienza ed incompetenza in varie prestazioni mediche, quando non di colpevole menefreghismo; la salute dei cittadini si presenta dunque sempre più a rischio a causa di facilonerie, impreparazioni, scarsa considerazione del malato, con in primo piano sempre i “diritti” del personale del settore.
Appare evidente, almeno a chi è dotato di normali facoltà intellettive, che vi sono categorie sempre pronte ad “armarsi” comunque contro il Governo.
E le motivazioni sono manifeste: le carriere in questi settori procedono per appartenenza politica, per conoscenze; quindi chi vuole far carriera deve essere ben inserito nel sistema (abnorme); le capacità, l’impegno professionale ed umano (non politico e sociale), il rispetto della persona, i risultati concretamente riscontrabili anche dalle persone semplici, sono tutte cose oscurate, il “Merito” vero non conta più.
Quale futuro potrà avere una società malata, decadente, che nega comunque la meritocrazia? Le menti scappano da questo Paese; restano i mediocri che sguazzano nell’assenza di meritocrazia; restano i burocrati, i veri comandanti dei Timoni di questa società occupata, non governata, da politici per lo più del medesimo spessore e motivati dalla ricerca di un lavoro redditizio senza responsabilità; e la risposta alla domanda, anche se ci dispiace vederla, la troviamo nello studio della Storia, di quanto è già successo alla caduta dell’impero romano (476 d.C.); il crollo delle torri gemelle, i fallimenti di grosse banche, il materialismo sfrenato ed il sesso orgiastico e perverso sono i segnali dell’inefficienza e dell’instabilità della società “progredita” e di un modello economico e sociale, e della sua (forse) inarrestabile decadenza.
n.d.r. Il (forse) è parte delle speranza…

giovedì 27 maggio 2010












Luoghi dello Spirito e dell’Arte
Taglio del nastro per la Mostra fotografica via Turonensis. Aspetti simbolici nell’iconografia romanica lungo vie di pellegrinaggio, a cura del dott. ing. Luigi Marson, che apre l’iniziativa Luoghi dello Spirito e dell’Arte. Presso il Museo del Cenedese a Serravalle di Vittorio Veneto venerdì 28 maggio, alle ore 18.00, si presenta l’esposizione dei pannelli che costituiscono l’intenso percorso tematico tracciato dal curatore. L’iniziativa, sostenuta dalla Regione del Veneto e patrocinata dalla Provincia di Treviso, si attua grazie al fondamentale interessamento dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Vittorio Veneto, in particolare nella figura dell’Assessore Michele De Bertolis che presenzierà personalmente alla cerimonia d’inaugurazione. L’attuazione della Mostra e della programmazione a seguire, che fa capo al Centro Studi Claviere di Vittorio Veneto, con la preziosa collaborazione dell’Architetto Flavio Franco, è segno della volontà di dare rilievo agli spazi museali e storici della Città con progetti il cui spessore e la cui originalità culturale possano favorire l’affluenza in luoghi già noti o da scoprire, ma comunque da valorizzare. 



mercoledì 19 maggio 2010

In prigione a Carpesica

Certo per l’accoglienza turistica a Vittorio Veneto i “muri di Carpesica” sono un brutto biglietto da visita che non invoglia certo ad uscire dall’autostrada per vedere la nostra valle.
La Zona, attraversata da un tratto autostradale ricavato per lo più in “trincea” (come si dice in termine tecnico) o, quanto meno, sopraelevata naturalmente rispetto al piano di scorrimento del traffico autostradale , si trovava già nella migliore delle situazioni possibili per il riparo dai rumori.
Ora è stato compiuto uno scempio paesaggistico ed ambientale sottraendo fondi ad opere ben più necessarie ed utili.
Dai punti sopraelevati della strada che attraversa Carpesica le abitazioni si ritrovano confinate dai muraglioni, pare di attraversare Gaza o i quartieri nel Sudafrica dell’appartheid; agli abitanti è stato negato il “diritto di veduta” dello splendido paesaggio delle nostre valli e montagne, diritto per il quale avevano a suo tempo scelto la collina di Carpesica rinunciando alla vicinanza al centro città, ai servizi ed ai negozi.
Percorrendo l’autostrada da Conegliano verso Vittorio Veneto si vien presi dalla depressione vedendo tutto quel arrampicarsi di barriere su più piani e direzioni, più alte e più basse, con sporto e senza sporto e, per di più, in lamiera rossiccia… Uno stridio di elementi artificiali di incomparabile bruttezza che intersecano e competono con la bellezza del lussureggiante ambiente naturale autoctono.
Sorvolando sulla reale efficacia e, soprattutto reale necessità di tali barriere e….sui soldi spesi per tale scempio naturalistico e paesaggistico, solo percorrendo il passante di Mestre ci si chiede chi e come abbia fatto tale sciagurata scelta architettonica e chi e come gliela abbia fatta passare senza opporsi! Le barriere lungo il passante di Mestre, poste in luoghi certamente assai meno belli e degni di essere protetti della Nostra Vallata, sono infatti di numerose tipologie, fra cui alcune assai meno impattanti in pali di legno o in vetro e comunque tutte con tentativi di ricerca di mimetismo e/o abbellimento più o meno riusciti; quindi volendo almeno scegliere con l’attenzione dovuta alle caratteristiche paesaggistiche dei luoghi gli esempi c’erano, erano numerosi e facilmente riscontrabili: non erano solo sui cataloghi delle ditte produttrici di barriere.
Ciò che ci indigna è come a Carpesica non si sia nemmeno tentato in alcun modo di scegliere qualcosa di degno ma, soprattutto, come nessuno degli enti, uffici e commissioni competenti, comunali e non, si sia mosso e messo dalla parte dei cittadini indifesi; quegli stessi apparati pubblici sempre attentissimi al cosiddetto “decoro” cittadino quando si tratta di negare semplici modifiche ad edifici privati o sono subito pronti a comminare sanzioni di migliaia di euro per una ringhiera in area di tutela dei beni ambientali.
Con le esorbitanti somme spese si potevano asfaltare strade e fare marciapiedi nuovi a circa 150 Km di vie del nostro Comune!Tanto per fare un esempio.
Come già avvenne con lo scempio della Val Lapisina fatto dai due tronchi dell’autostrada che potevano essere affiancati invece che separati (ed hanno contribuito anche a modificare i venti sulla Città...), come sta ancora avvenendo per le principali istituzioni e servizi concentrati a Conegliano, i vari Governi Vittoriesi non riescono comunque a farsi sentire; economia e poteri esterni debbono sempre averla vinta?

lunedì 8 marzo 2010

Tonino Di Pietro - Leggo e riporto

Usa, 007 e Seychelles: il lato oscuro di Di Pietro di Luca Fazzo (Il Giornale.it)

Milano - Se si vuole capire davvero la furibonda arrabbiatura di Antonio Di Pietro per il dossier che (secondo quanto da lui stesso rivelato) lo vorrebbe collegare all’universo dei servizi segreti, bisogna andare indietro di dieci anni e più. All’ultimo periodo italiano di Bettino Craxi, e poi al lungo crepuscolo ad Hammamet. È in quel periodo che il leader socialista rende sempre più esplicita la sua convinzione, maturata fin dagli esordi di Mani Pulite e poi rafforzatasi strada facendo: quella che l’origine dei suoi guai giudiziari stia da qualche parte nella nebulosa dei servizi segreti, e più direttamente nella frangia della nostra intelligence di obbedienza americana. La convinzione che Mani Pulite fosse stata - se non progettata - comunque oliata ed agevolata da Oltreoceano, da quella parte di establishment Usa deciso a chiudere i conti con l’anomalia italiana, con l’Andreotti del dialogo con gli arabi, con il Craxi dell’affronto di Sigonella.
Questa convinzione - ribadita implicitamente pochi giorni fa da Rino Formica, ex ministro socialista - passava necessariamente per una rivisitazione del personaggio Di Pietro. Non c’erano solo le Mercedes, i prestiti, le piccole magagne per cui Di Pietro verrà processato e assolto. C’erano dubbi ben più corposi, e che comportavano una rilettura integrale della biografia del magistrato milanese: una carriera solo in apparenza naif, e in realtà compiuta sotto l’egida degli apparati occulti dello Stato, di qua e di là dall’Atlantico. È una ipotesi che, oggi come allora, Di Pietro considera una calunnia senza capo né coda. E fornisce risposte - a volte precise, a volte meno - sui misteri, veri o presunti, della sua storia personale. Eccone una sintesi.
Il rientro in Italia Secondo le biografie autorizzate, Di Pietro emigra in Baviera nel 1971, a ventun anni, e rientra in Italia due anni dopo. Colpo di scena. Viene assunto dall’Aeronautica militare, e assegnato alla struttura che si occupa di controllare la sicurezza delle forniture ad alta tecnologia bellica delle nostre industrie. È una mansione da sempre svolta in parallelo con un reparto apposito del Sismi, l’Antiproliferazione. E comunque chi vi lavora deve godere di un lasciapassare di sicurezza che in quegli anni viene rilasciato proprio dagli 007. Come fa Di Pietro a ottenere immediatamente il nulla osta? La versione di Tonino è semplice: ho fatto un concorso come impiegato civile, l’ho vinto e sono entrato all’Aeronautica.
La laurea Il 19 luglio 1978 Di Pietro si laurea in Giurisprudenza alla Statale di Milano. Nel giro di trentuno mesi ha sostenuto ventidue esami, a un ritmo forsennato. Un esame che terrorizza tutti gli studenti di legge, «Istituzioni di diritto privato», lo sostiene e lo passa dopo appena un mese dall’esame precedente. Si laurea con una tesi in Diritto costituzionale, voto 108/110. «Lavoravo di giorno e studiavo di notte», è sempre stata la versione di Di Pietro: e d’altronde la sua incredibile capacità di lavoro è nota. Ma una serie di stranezze rafforzano i dubbi di chi ipotizza che il suo percorso accademico sia stato accompagnato da segnalazioni e raccomandazioni. Un appunto del centro Sisde di Milano sostiene che Di Pietro in quegli anni era in contatto con un diplomatico Usa in servizio nel nord Italia, e con una associazione vicina alla Cia. In una indagine riservata dei carabinieri dell’Anticrimine milanese si legge che il giorno in cui risulta avere sostenuto un esame, in realtà Di Pietro era fuori città: ma sono illazioni che resteranno prive di riscontro. Come pure i sospetti sul ruolo di Agostino Ruju, avvocato, legato ai nostri servizi segreti, che alla Statale fa l’assistente di Diritto costituzionale quando Di Pietro si laurea proprio in quella materia. A indicare Ruju come uomo dell’intelligence sarà Roberto Arlati, uno dei collaboratori più stretti del generale Dalla Chiesa. Peraltro sia Ruju che Arlati verranno arrestati da Di Pietro nel corso di Mani Pulite.
Al fianco di Dalla Chiesa? In una intervista a Paolo Guzzanti, la madre di Emanuela Setti Carraro racconta che Di Pietro lavorava agli ordini di suo suocero, il generale Dalla Chiesa, nella lotta al terrorismo. Non indica date precise, ma l’episodio dovrebbe essere precedente al 1980, quando Dalla Chiesa viene trasferito al comando della divisione Pastrengo: all’epoca, dunque, Di Pietro è ufficialmente ancora un dipendente civile dell’Aeronautica.
L’ingresso in magistratura Sul concorso con cui, due anni dopo la laurea, Di Pietro entra in polizia non ci sono ombre. Nei dossier craxiani ce ne sono invece, e corpose, sul modo in cui nel 1981 il commissario diventa magistrato, superando al primo colpo un concorso famoso per la sua asprezza. Ai giudici della commissione d’esame resta impressa una certa rozzezza espositiva del candidato. A presiedere la commissione c’è il giudice Corrado Carnevale che più tardi racconterà di essersi fatto commuovere dal curriculum dell’ex emigrante. Ma ancora più inconsueto è quanto accade tre anni dopo, quando il consiglio giudiziario di Brescia valuta l’«uditorato» (cioè l’apprendistato) di Di Pietro. È un giudizio molto severo, che conclude per l’inadeguatezza di Di Pietro a diventare magistrato. Ma il Csm ribalta tutto e promuove l’uditore Di Pietro. Tra i membri del Csm c’è allora Ombretta Fumagalli Carulli, una deputata Dc in ottimi rapporti con gli Usa, che diventerà uno dei primi fan delle indagini anti-corruzione a Milano. Ma Di Pietro ha dalla sua una dichiarazione al Csm del procuratore capo di Bergamo, Cannizzo, che appena un anno dopo cambia radicalmente il giudizio su di lui, aprendogli la strada al trasferimento alla Procura di Milano.
Il viaggio alle Seychelles È l’episodio più surreale, quello dove è più difficile collocare le tessere in un mosaico sensato. Ruota intorno a Francesco Pazienza, un faccendiere dai mille contatti, iscritto alla loggia P2, bene introdotto negli ambienti dei nostri servizi segreti. Nel 1984 Pazienza viene accusato di avere creato, insieme ad alcuni boss dell’intelligence, una sorta di servizio segreto parallelo, viene colpito da mandato di cattura e si rifugia alle Seychelles. Craxi, che allora è presidente del Consiglio, gli scatena contro il Sismi. Mentre i servizi cercano inutilmente di afferrarlo, alle Seychelles sbarca Di Pietro, sostituto procuratore a Bergamo, ufficialmente in viaggio di piacere. Di Pietro si mette sulla tracce di Pazienza, all’insaputa dei suoi capi. In una dichiarazione riportata dal giornalista Filippo Facci, l’allora capo del Sismi Fulvio Martini ipotizza che «Di Pietro lavorasse anche per il ministero degli Interni e avesse mantenuto legami con il precedente mestiere».
Il viaggio in America Nel 1985 Di Pietro arriva a Milano, in Procura. Inizia a scavare sul marcio nella pubblica amministrazione partendo dal caso delle «patenti facili». Tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, con la testimonianza di Luca Magni e l’arresto di Mario Chiesa, dà il via all’operazione Mani Pulite. Nel giro di poche settimane viene sollevato il coperchio sulla inverosimile commistione tra business e politica che si è impadronito dell’ex «capitale morale». Tutta l’Italia tifa per Di Pietro. Ma a ottobre, nel pieno del tourbillon dell’inchiesta, il pm sparisce improvvisamente da Milano e vola negli Stati Uniti. Non si sa bene cosa faccia. Di certo partecipa all’interrogatorio di un imprenditore italiano, tale Grassetto. Poi svanisce, i cronisti italiani gli danno la caccia tra New York, Los Angeles, la Pennsylvania. Sui giornali si parla di una traccia che metterebbe in collegamento le indagini di Mani Pulite con i fondi americani di Cosa Nostra: non se ne saprà mai più nulla. Di Pietro fa una sola dichiarazione: «Siamo qui per alcuni incontri con giuristi e agenti dell' Fbi che ci devono spiegare come si fanno qui in America certe indagini». Ma si dice che venga ospitato anche da quelli della Kroll, la superagenzia di investigazioni private che da sempre lavora anche per l’intelligence a stelle e strisce.
Dimissioni dalla magistratura Qui i servizi segreti non c’entrano, ma siamo comunque nella categoria del «giallo». Il 6 dicembre ’94, dopo avere concluso la sua requisitoria nel processo Enimont, Di Pietro si toglie la toga e comunica al procuratore Borrelli la sua decisione di lasciare la magistratura. Nei giorni precedenti appariva provato psicologicamente, c’è chi racconta di averlo visto scoppiare a piangere all’improvviso, senza motivo, in ufficio. La spiegazione di Di Pietro è: sapevo che stavo per venire incriminato, dimettendomi ho evitato che a venire travolta fosse l’intera inchiesta e contemporaneamente ho potuto difendermi con maggiore libertà. I fatti gli daranno ragione, verrà assolto e Mani Pulite andrà avanti (anche se per poco). Eppure sono in diversi a pensare che anche la storia di quell’addio sia, in tutto o in parte, ancora da scrivere.

martedì 23 febbraio 2010

Truffe negli appalti e semplificazione

Quando sento parlare di semplificazione mi vengono i brividi. Perché? Perché da quando, da decenni, i vari governi hanno parlato di semplificazione, ogni volta il tutto si è tradotto in ulteriore appesantimento delle pratiche burocratica, in conseguente diminuzione esponenziale dell’efficienza ed aumento delle possibilità di brogli.
La ragione sta nel fatto che da troppo ormai la classe politica è composta, per lo più, da mediocri che cercano una posizione, la “carega”, ai soli scopi di potere e denaro; elementi quindi quasi sempre digiuni di informazioni tecniche sufficienti per dirimere la materia di cui sono chiamati ad occuparsi in nome del Popolo, capaci solo di farsi la guerra e di sbarrare la strada ai migliori.
La conseguenza inevitabile è che codeste persone debbano farsi “aiutare” da cosiddetti “esperti del settore”, elementi ovviamente (per motivazioni di voto e di scambio di favori) scelti tra le fila dei frequentatori di partito e non sempre all’altezza della situazione, poiché da troppi anni si sono infilati nei partiti personaggi in cerca solo di lavoro ed assolutamente menefreghisti dei bisogni della gente.
Cosa possono dunque due inesperienze unite dal solo fine di acquisire un posto, del lavoro? Devono ovviamente rivolgersi alla schiera, sempre più pingue, dei burocrati che affollano ogni ufficio pubblico, dal più piccolo Comune su su fino ai Ministeri.
Mentre i burocrati di tempo fa almeno conoscevano approfonditamente la materia e solo ai vertici prendevano parte attiva agli “affari”, oggi il numero dei burocrati giovani, inesperti (e quindi paurosi ed incapaci di assumersi qualsivoglia responsabilità decisionale) ed “affamati” è in costante allarmante aumento (in parallelo all’aumento delle poltrone politiche); consci dell’inetta mancanza di autonomia di tanti politici sanno di avere comunque in mano un grande potere.
La conseguenza è il diluvio normativo, con norme troppo vaghe o troppo dettagliate quando non in palese contrasto con altre, che inibiscono, bloccano il cittadino rispettoso quando non lo colpiscono con sanzioni non proporzionate e tese solo a fare cassa. Come in un girone infernale, in una progressione geometrica dannata, chi legifera sulla scorta dei documenti istruiti dai burocrati non si rende neppure conto che costoro anziché semplificare alimentano la confusione con l’unico risultato di incrementare il loro potere; vien persino da pensare che certi burocrati creino appositamente norme insulse, astruse, dannose e complicatorie che riducono l’efficienza, aumentano il loro potere ed aumentano esponenzialmente la capacità di brogli e tangenti. A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina…diceva Andreotti, politico assai discusso ma certamente non mediocre! E’ amaro poi constatare come il diluvio normativo colpisca solo le regioni più “virtuose” mentre non sortisce alcun effetto in aree endemiche del Paese che non rispettano alcuna legge se non quella della malavita organizzata.
Il problema quindi è assolutamente non risolvibile in questa stagione triste; solo una fortissima esigenza di moralizzazione proveniente dal Popolo e da uomini di pensiero ed etica (al momento non si vedono mentre emergono per lo più quelli malati dalla stessa fame di denaro e carriera) potrebbe scardinare il meccanismo, azzerando i modi con cui si rigenerano ed autoalimentano la classe dei politici e quella dei burocrati; ma serpeggia ormai l’amara impressione che solo forti sconvolgimenti, che tutti abbiamo paura di augurarci per i nostri affari e per il futuro prossimo dei nostri figli, potranno fermare il perverso meccanismo per una rinascita tanto irrealisticamente invocata. Ritengo che i tempi delle Civiltà siano molto più lunghi della vita degli uomini e, a mio parere, siamo in una fase mondiale di decadenza inarrestabile, ma che necessita del tempo necessario per svolgersi interamente e dare luogo ai cambiamenti della Storia; forse Gorbacev, nel suo tentativo di salvare un sistema comunista che con la crisi dagli anni 60 aveva ormai dimostrato la sua inefficienza come sistema, sta alla caduta dell’imperialismo sovietico come l’11 settembre, con il bombardamento delle torri gemelle simbolo del potere economico americomondiale, rappresenta l’inizio della caduta dell’imperialismo americano e del suo modello dei grandi numeri esteso in tutto l’occidente. E’ dunque crisi gravissima di un modello storico sociale ed economico e noi ne siamo infima parte.
Ma tutto ciò, comunque, non ci giustifica nel nostro modesto agire quotidiano quando ci gettiamo il problema alle spalle dicendo che è più grande di noi…poiché il comportamento di ognuno di noi è fondamentale come parte e come esempio per ricostituire una Società sana.

Il Bombardamento di Dresda (Leggo e diffondo)

IL BOMBARDAMENTO DI DRESDA: UNA TESTIMONIANZA
di Edda West
da Current Concerns n. 2, 2003

L’11 settembre 2001, mentre osservavo l’orrore e la distruzione dell’attacco al World Trade Center, mi tornarono alla mente le immagini del luogo da cui ero venuta, di tutto ciò che la mia famiglia aveva dovuto affrontare e si riattivò in me la memoria cellulare profonda che conservo ancora come sopravvissuta al bombardamento di Dresda del 1945. Riuscivo a sentire la disperazione e il terrore della povera gente intrappolata nelle torri, la terribile consapevolezza che non c’era via di fuga e che ciò che stavo osservando era la morte collettiva di migliaia di persone, un inimmaginabile sterminio di massa. La mia mente urlava: questa è Dresda! E’ Dresda di nuovo!! Ne sono di nuovo testimone. E’ un altro tempo, un altro luogo, ma l’orrore e la distruzione sono gli stessi e l’unica differenza è un più lieve bilancio dei morti, poche migliaia di persone a confronto delle molte centinaia di migliaia di innocenti che morirono a Dresda.
Sono nata nelle prime ore della mattina del 7 settembre 1943, a Tallin, in Estonia, subito dopo un intenso bombardamento della città ad opera dei sovietici. Quando le sirene dell’allarme aereo iniziarono a suonare, mia madre, incinta e in piena fase di travaglio, si rifugiò in una cantina a casa di un’amica, senza sapere se sarebbe rimasta viva da un minuto a quello successivo o se sarebbe vissuta abbastanza da dare alla luce il bambino che stava per partorire.
Nel corso degli anni, mi sono domandata spesso quale karma e quali strani destini mi abbiano portata in questo mondo proprio durante quell’intenso bombardamento e quale miracolo ci abbia consentito di sopravvivere non solo a quella notte di terrore, ma a molti altri episodi che ci portarono a sfiorare la morte mentre fuggivamo dalle milizie sovietiche che avrebbero inghiottito l’Estonia per i successivi 50 anni.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Estonia era stata occupata in numerose occasioni sia dai sovietici che dai tedeschi. Aveva sofferto sotto le brutali minacce d’invasione dei russi dall’est, aveva fronteggiato occupazioni e violenze contro il suo popolo nel corso dei secoli e aveva lottato per difendere la propria lingua e la propria cultura dalla perpetua minaccia di annientamento.
E per quanto l’Estonia fosse stata occupata in alcuni momenti anche dalle truppe tedesche, l’influsso esercitato dalla Germania era vissuto in modo diverso. C’era l’idea che la cultura estone si fosse evoluta sotto l’influenza tedesca, in termini di educazione, architettura, letteratura. E c’era il senso di comunanza con una cultura più nobile, rispetto alle orde di predoni che sarebbero piovute dalla Russia in spaventose ondate di saccheggi e massacri.
Verso la fine del 1944, divenne evidente che la Germania si stava ritirando e che il suo esercito si preparava a lasciare l’Estonia per l’ultima volta. Nella gente si diffuse l’agghiacciante consapevolezza che non ci sarebbe stata più una forza-cuscinetto da opporre alle armate sovietiche e che un’occupazione permanente e brutale da parte delle forze comuniste era imminente e inevitabile. Durante la prima occupazione sovietica del 1939/40, mio nonno e molti altri membri della nostra comunità erano già stati deportati nei gulag siberiani (campi di lavoro), dove erano morti di freddo e di stenti, e gran parte degli uomini del paese erano stati costretti al servizio militare.
La fattoria di mia nonna era stata occupata per qualche tempo dalle truppe tedesche. Era una grande fattoria, le cui risorse le consentivano di sfamare molti di quei soldati. Si provava nei loro confronti un senso di gratitudine per la protezione offerta contro le truppe sovietiche. Mia madre si innamorò di un ufficiale tedesco che prestava servizio nell’esercito come medico. Quando nell’autunno del 1944 l’armata tedesca iniziò la ritirata e divenne chiaro che l’invasione comunista era inevitabile, quel gentile medico tedesco fece in modo che anche io, mia madre e mia nonna potessimo lasciare il paese.
Ce ne andammo con una nave tedesca da evacuazione, che raggiunse la Germania attraverso il Baltico. La nave che era davanti alla nostra venne bombardata e affondò, senza che vi fossero superstiti. Si viveva momento per momento e il motto di mia madre era “vivi oggi perché il domani potrebbe non arrivare mai”. Mia madre e mia nonna erano convinte che, quale che fosse il destino che avremmo dovuto fronteggiare, sarebbe stato comunque migliore che l’essere condannate ai campi di lavoro sovietici e a morte certa, nel caso in cui fossimo rimaste in Estonia. Non vedemmo mai più quel medico tedesco, che fu richiamato a servire la sua patria. Ci unimmo al fiume di migliaia di rifugiati in cerca di un riparo e di un luogo sicuro, chiedendoci ogni giorno dove potessimo trovare del cibo e un tetto e dove potessimo nasconderci per avere salvezza.
La fame e la denutrizione erano nostre costanti compagne. Mia madre strisciava in ginocchio di notte attraverso i campi coltivati in cerca di un po’ di cibo, scavando con le mani nella speranza di trovare i rimasugli abbandonati di una patata. Anche negli anni successivi alla guerra, quando eravamo ormai al sicuro in Canada, gli occhi di mia nonna si riempivano di lacrime se iniziavo a lamentarmi di un cibo che non mi piaceva. Mi ricordava quanto fosse sacro il cibo e di come lei avesse tenuto da parte ogni briciola di pane per potermi sfamare.
Il flusso di umanità senza dimora, i senzatetto disperati e sconvolti dalle bombe, i profughi affamati, avevano tutti un’unica, fervida preghiera: che la guerra finisse presto, che potessero sopravvivere all’orrore, tornare a casa, riunirsi alle loro famiglie, e che per il momento fosse loro possibile trovare un rifugio sicuro dove ritemprare i loro animi provati dalla guerra.
E avvenne che fosse Dresda quella destinazione, la preghiera esaudita, il porto sicuro per centinaia di migliaia di profughi, la maggior parte dei quali erano donne e bambini. Molti fuggivano dall’armata sovietica in arrivo dall’est ed erano venuti a Dresda perché avevano sentito dire che si trattava di un luogo sicuro, che non sarebbe stato preso di mira dai bombardamenti perché non c’erano né fabbriche di munizioni, né installazioni militari, né artiglieria pesante in grado di alimentare la macchina bellica. Anche alla Croce Rossa era stato promesso che Dresda non sarebbe stata bombardata. Si ritiene che oltre mezzo milione di rifugiati si fossero riversati nella zona di Dresda in cerca di salvezza, facendo più che raddoppiare il numero della popolazione ordinaria.
Non so bene dove attraccò la nostra nave o quale strada prendemmo per andare a Dresda. Ma è probabile che scendemmo a terra nei pressi di Danzica e che ci facemmo poi lentamente strada verso l’interno per recarci a Dresda. Mi ricordo che mia madre e mia nonna mi parlavano spesso della loro preoccupazione di trovarsi di nuovo, nel corso del viaggio, dietro le linee sovietiche, poiché l’armata russa stava avanzando da nord e da est. Camminarono a piedi per centinaia di chilometri, con gli zaini in spalla e con me bambina legata su un carretto che loro spingevano e su cui avevano ammucchiato i loro pochi averi. Per anni mia madre conservò i vecchi stivali da neve che aveva indossato e che le ricordavano quella lunga marcia e i piedi sanguinanti. Li tirava sempre fuori dal cassetto quando si parlava di racconti di guerra. Quegli stivali logori e intrisi di sangue erano come vecchi amici fidati che l’avevano aiutata nel corso di quel lungo viaggio.
Non so quanto tempo rimanemmo a Dresda. Mia nonna, in cambio di un po’ di cibo, lavorava come infermiera in un ospedale della periferia cittadina e avevamo trovato, lì vicino, una stanza in cui vivere all’interno di una soffitta. Ma anche se il porto sicuro era stato finalmente raggiunto, entrambe le donne sapevano d’istinto che la sicurezza sarebbe durata poco, perché i sovietici stavano muovendosi rapidamente verso Dresda e si avvicinavano ogni giorno di più. Nel corso del loro viaggio da profughe, la loro paura più grande era quella di cadere nuovamente nelle mani dei comunisti e di essere rimandate in Estonia e poi nei campi di lavoro sovietici.
Il mio ricordo del bombardamento di Dresda è mediato dagli occhi di mia nonna, che fu testimone dell’orrore e della devastazione, e include alcuni episodi che la storia ha registrato. Anche l’esperienza di Elisabeth, l’unica altra sopravvissuta al bombardamento di Dresda che io abbia incontrato nel corso della vita, può conferire a questa storia una dimensione personale. Benché fossi troppo piccola per averne dei ricordi coscienti, ho rivissuto quegli eventi attraverso incubi notturni che si ripeterono continuamente nei miei primi 12 anni di vita, con il mio subconscio in lotta per liberarsi del terrore collettivo che era stato impresso sulla mia anima e che mi tormentava con immagini di morte e distruzione, con incendi spaventosi che annunciavano la fine del mondo, con la terra che si apriva in crepacci d’inferno pronti ad inghiottirmi.
Mia nonna iniziava sempre il racconto di Dresda con la descrizione dei grappoli di candele rosse infuocate che scendevano dai primi bombardieri e illuminavano il cielo come centinaia di alberi di Natale, segno certo che si sarebbe trattato di un attacco aereo di tutto rispetto. Poi arrivò la prima ondata di bombardieri britannici, che colpì poco dopo le 10 di sera della notte tra il 14 e il 15 febbraio 1945, seguita da altri due raid di bombardamento a tappeto ad opera di inglesi e americani nel corso delle successive 14 ore. La storia ritiene che si sia trattato del più mortale bombardamento aereo di tutti i tempi, con un numero di vittime superiore a quello delle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki.
In 20 minuti di intenso bombardamento, la città si trasformò in un inferno. Il secondo attacco arrivò tre ore dopo il primo, con lo scopo dichiarato di “colpire i soccorritori, i pompieri e gli abitanti in fuga totalmente privi di copertura”. Nel complesso, gli inglesi lanciarono circa 3.000 tonnellate di esplosivo, che distrussero tetti, muri, finestre, interi edifici e che includevano centinaia di migliaia di sostanze incendiarie al fosforo, cioè un liquido infiammabile che diffondeva incendi inestinguibili in ogni crepa in cui penetrasse, accendendo la miccia dell’inferno che trasformò Dresda in un “uragano di fiamme”.
Quando gli americani sorvolarono la città per il terzo e ultimo attacco, il fumo che si alzava dalla città in fiamme quasi ostruiva la visibilità. Un pilota americano ricorda: “Lanciavamo le bombe da 8.000 metri d’altezza e riuscivamo a malapena a scorgere il suolo, a causa delle nubi e delle alte colonne di fumo nero. Non un solo colpo fu sparato contro i bombardieri britannici o americani”. Gli americani lanciarono 800 tonnellate di esplosivo e bombe incendiarie nell’arco di 11 minuti. Poi i P-51 americani scesero a volo radente e iniziarono a mitragliare le persone che cercavano di fuggire dalla città.
Mia nonna descriveva la terribile tempesta di fuoco che impazzava come un uragano, distruggendo la città. Sembrava che l’aria stessa fosse in fiamme. Migliaia di persone vennero uccise dalle esplosioni, ma un numero enorme e imprecisato venne incenerito dalla tempesta di fuoco, un tornado artificiale con venti che correvano ad oltre 100 miglia all’ora e che “risucchiavano vittime e detriti nel loro vortice e bruciavano l’ossigeno con temperature di 1.000 gradi centigradi”. Molti giorni dopo, quando gli incendi erano ormai spenti, mia nonna fece un giro nella città. Ciò che vide è indescrivibile in qualunque lingua umana. Ma la sofferenza incisa sul suo volto e la profondità dell’angoscia riflessa nei suoi occhi mentre raccontava questa storia erano la testimonianza dell’orrore ultimo, della crudeltà dell’uomo verso l’uomo e dell’assoluta oscenità della guerra.
Dresda, capitale della Sassonia, centro di arte, teatro, musica, musei, vita universitaria, splendente di armoniose architetture, un luogo di bellezza pieno di laghi e giardini, era completamente distrutta. La città bruciò per sette giorni e rimase rovente per settimane. Mia nonna vide i resti delle moltitudini di persone che avevano disperatamente tentato di sfuggire alla tempesta ardente tuffandosi nei laghetti e nelle piscine. Le parti dei loro corpi che erano immerse nell’acqua erano rimaste intatte, ma le parti che sporgevano fuori dall’acqua erano carbonizzate oltre ogni possibilità di identificazione. Ciò che vide fu un inferno al di là dell’immaginazione umana, un olocausto di distruzione che sfida ogni descrizione.
Ci vollero più di tre mesi soltanto per seppellire i morti, migliaia e migliaia di cadaveri vennero gettati in fosse comuni. Irving ha scritto: “Il bombardamento aveva colpito il bersaglio in modo così disastroso, che non era sopravvissuto un numero di persone in salute sufficiente a seppellire i morti”. Il massacro di massa e il terrore crearono così tanta confusione e disorientamento che ci vollero mesi prima di comprendere l’effettiva portata della devastazione; le autorità, per paura di un’epidemia di tifo, cremarono migliaia di cadaveri in pire frettolosamente allestite e alimentate da paglia e legno. La stima delle vittime compiuta dai tedeschi arrivava fino a 220.000 morti, ma il completamento dell’identificazione dei cadaveri fu interrotto dall’occupazione di Dresda da parte dei sovietici, nel maggio successivo.
Elisabeth, che all’epoca del bombardamento di Dresda era una ragazza di 20 anni, ha scritto per i suoi figli un memorandum in cui descrive ciò che le accadde quel giorno. Si era rifugiata nella cantina della casa in cui abitava e racconta: “Poi la detonazione delle bombe iniziò a scuotere il terreno e tutti, in preda al panico, si affrettarono a scendere nei sotterranei. L’attacco durò circa mezz’ora. Il nostro edificio e la zona circostante non erano stati colpiti. Quasi tutti tornarono di sopra, pensando che fosse finita, ma non era così. Il peggio doveva ancora venire e quando arrivò fu un vero e proprio inferno. Durante la breve tregua, lo scantinato si era riempito di persone in cerca di riparo, alcune delle quali erano rimaste ferite dalle schegge delle bombe.
“A un soldato era stata tranciata via una gamba. Lo accompagnava un medico che cercava di prendersi cura di lui, ma lui urlava di dolore e c’era molto sangue. C’era anche una donna ferita, il cui braccio, appena al di sotto della spalla, era stato reciso e ora le penzolava appeso ad un pezzo di cartilagine. Un medico militare si prendeva cura di lei, ma la perdita di sangue era molto copiosa e le sue urla erano spaventose.
“Poi ricominciarono a cadere le bombe. Questa volta non c’erano pause tra le detonazioni e gli scossoni erano così forti che perdemmo l’equilibrio e fummo scagliati qua e là per il sotterraneo come un mucchio di bambole di pezza. In certi momenti i muri della cantina si dividevano a metà e si sollevavano verso l’alto. Vedevamo all’esterno i lampi delle terribili esplosioni. C’erano una quantità di bombe incendiarie e contenitori di fosforo che si rovesciavano ovunque. Il fosforo era un liquido denso che prendeva fuoco appena esposto all’aria e quando penetrava nelle crepe degli edifici bruciava tutto ciò con cui veniva a contatto. Le sue esalazioni erano tossiche. Quando lo vedemmo scorrere lungo i gradini del sotterraneo, qualcuno urlò di prendere le birre (ce n’erano alcune immagazzinate nel luogo in cui ci trovavamo), di inumidire uno straccio o un pezzo dei nostri vestiti e premercelo contro la bocca e il naso. Il panico era terrificante. Tutti spingevano, premevano e graffiavano per impossessarsi di una bottiglia.
Io mi ero tolta un pezzo di biancheria, lo avevo imbevuto di birra e lo premevo contro la bocca e il naso. Il calore dentro quella cantina era così intenso che ci vollero solo pochi minuti perché quel pezzo di stoffa si prosciugasse completamente. Ero come un animale selvaggio, che proteggeva la sua riserva di umidità. Non mi fa piacere ripensarci.
“Il bombardamento continuava. Cercai di reggermi appoggiandomi al muro e questo mi strappò la pelle dalla mano. Il muro era rovente. L’ultima cosa che ricordo di quella notte è di aver perso l’equilibrio, di essermi aggrappata a delle persone per restare in piedi, ma di essere poi caduta trascinandole a terra con me, me le vidi cadere addosso. Sentii che qualcosa mi si era rotto dentro. Mentre ero stesa lì a terra avevo un solo pensiero: continuare a pensare. Finché sapevo che stavo pensando voleva dire che ero viva, ma a un certo punto persi conoscenza.
“La cosa che ricordo subito dopo è di aver sentito un freddo terribile. Mi resi conto in quel momento di essere stesa sul terreno, vedevo gli alberi in fiamme. Era giorno. Su alcuni alberi c’erano animali che strillavano. Erano le scimmie dello zoo, che era andato a fuoco. Iniziai a muovere le gambe e le braccia. Faceva molto male, ma riuscivo a muoverle. La sensazione di dolore mi diceva che ero viva. Credo che i miei movimenti furono notati da uno dei soldati dei reparti medici di soccorso.
“Questi reparti erano stati inviati in ogni zona della città ed erano stati loro ad aprire dall’esterno la porta della cantina. Avevano portato tutti i corpi fuori dall’edificio in fiamme. Ora stavano cercando di capire se qualcuno di noi dava segni di vita. In seguito venni a sapere che da quella cantina erano stati estratti più di centosettanta corpi, ventisette dei quali erano tornati alla vita. Io ero uno di questi. Un miracolo!
“Poi cercarono di portarci all’ospedale, fuori dalla città in fiamme. Questo tentativo fu un’esperienza raccapricciante. A bruciare non erano solo gli edifici e gli alberi, ma lo stesso asfalto delle strade. Per ore e ore il camion cercò di trovare dei percorsi alternativi, prima di riuscire a venir fuori dal caos. Ma prima che i veicoli di soccorso potessero condurre i feriti negli ospedali, alcuni aerei nemici si abbassarono nuovamente verso di noi. Venimmo spinti in fretta e furia fuori dai camion e fatti sdraiare al riparo sotto di essi. Gli aerei ci sparavano addosso con le mitragliatrici, lanciando altre bombe incendiarie.
“Il ricordo più vivido nella mia mente è quello delle immagini e delle grida degli esseri umani rimasti intrappolati nell’asfalto fuso e rovente, che bruciavano come torce umane invocando un aiuto che nessuno poteva dargli. In quel momento ero troppo intontita per comprendere fino in fondo l’atrocità di quella scena, ma quando fui “al sicuro” in ospedale, l’impatto di quelle immagini e di tutto il resto mi provocò un completo collasso nervoso. Dovettero legarmi al letto per evitare che mi infliggessi da sola delle gravi ferite. Urlai per ore ed ore dietro una porta chiusa, mentre un’infermiera restava accanto al mio letto.
“Mi stupisco di come tutto questo sia ancora così vivido nella mia memoria (Elisabeth aveva più di 70 anni quanto scriveva queste righe). E’ come aprire una diga. Questo orrore è rimasto dentro di me, nei miei sogni, per molti anni. Sono felice di non provare più sentimenti di furia o di rabbia quando ripenso a queste esperienze. Provo solo una gran compassione per il dolore di chiunque, incluso il mio”.
“L’esperienza di Dresda è rimasta molto vivida in me per tutto il resto della mia vita. I media riferirono in seguito che il numero dei morti provocati dal bombardamento era stato stimato in oltre 250.000, più di un quarto di milione di persone. Questo era dovuto a tutti i profughi che erano arrivati a Dresda cercando di sfuggire ai russi e alla fama di città sicura di cui Dresda godeva. Non c’erano rifugi antiaerei, perché era stato fatto un accordo con la Croce Rossa.
“Cosa ne fu di tutti quei cadaveri? La maggior parte rimase sepolta tra le macerie. Penso che tutta Dresda si trasformò in un’unica fossa comune. Per la maggioranza di quei corpi, ogni identificazione fu impossibile. Dunque i parenti delle vittime non furono mai avvertiti. Innumerevoli famiglie rimasero senza madri, padri, mogli, figli e congiunti di cui ancora oggi nessuno sa nulla”.
Secondo gli storici, la questione di chi ordinò quell’attacco e perché non ha mai avuto risposta. A tutt’oggi nessuno è riuscito a far luce su queste due cruciali domande. Alcuni pensano che la risposta possa trovarsi in carteggi inediti tra Franklin D. Roosevelt, Dwight Eisenhower, Winston Churchill e forse altri. La storia riporta che l’attacco inglese e americano contro Dresda provocò un numero di vittime pari a due volte e mezzo quelle che l’Inghilterra aveva subìto in tutta la Seconda Guerra Mondiale e che fra i tedeschi morti durante la guerra, uno su cinque morì durante l’olocausto di Dresda.
Alcuni dicono che il motivo fosse quello di infliggere il colpo di grazia allo spirito tedesco, che l’impatto psicologico provocato dalla totale distruzione del cuore pulsante della storia e della cultura tedesca avrebbe messo in ginocchio la Germania una volta per tutte.
Altri dicono che si trattò di un test per sperimentare nuove armi di distruzione di massa, la tecnologia delle bombe incendiarie al fosforo. Senza dubbio alla radice di tutto vi furono necessità di controllo e di potere. Il bisogno insaziabile dei dominanti di imporre controllo e potere su un’umanità prigioniera e impaurita è ciò che porta a stermini di massa come i bombardamenti di Dresda o di Hiroshima.
Ma io credo che vi fosse un ulteriore e più cinico movente, che potrebbe rappresentare il motivo per cui ogni indagine completa sul bombardamento di Dresda è stata soppressa. Gli alleati sapevano benissimo che centinaia di migliaia di profughi si erano diretti a Dresda nella convinzione che si trattasse di un rifugio sicuro e alla Croce Rossa era stato garantito che Dresda non era un obiettivo. A quel punto si scorgeva all’orizzonte la fine della guerra e si sarebbe dovuto affrontare il problema dell’enorme massa di rifugiati da essa provocati. Cha fare di tutta questa gente dopo la fine della guerra? Quale soluzione migliore della soluzione finale? Perché non prendere due piccioni con una fava? Con l’incenerimento della città, insieme ad una larga percentuale dei suoi residenti e profughi, l’efficacia delle nuove bombe incendiarie era stata tangibilmente dimostrata. Sgomento e terrore erano stati instillati nel popolo germanico, accelerando così la conclusione della guerra. In ultimo, il bombardamento di Dresda assicurò la sostanziosa riduzione di un enorme oceano di umanità indesiderata, alleggerendo notevolmente i problemi e l’incombente fardello della ristrutturazione e risistemazione postbellica.
Forse non sapremo mai cosa ci fosse nella psiche degli uomini di potere di quell’epoca o quali furono i veri motivi che portarono a scatenare una devastazione così mostruosa contro le vite dei civili, a massacrare in massa un’umanità indifesa che non costituiva alcuna minaccia militare e il cui unico crimine era quello di cercare sollievo e riparo dall’infuriare della guerra. In assenza di una qualsiasi giustificazione militare per una simile carneficina di persone inermi, il bombardamento di Dresda può solo essere considerato un orrendo crimine contro l’umanità, che attende invisibilmente e silenziosamente giustizia, per poter risolversi e guarire tanto nella psiche collettiva delle sue vittime quanto in quella dei suoi carnefici.
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